La Open Innovation nell’economia odierna

di | Agosto 11, 2021

Come altri temi legati all’innovazione digitale, anche l’Open Innovation sta ricevendo sempre più attenzione da parte delle aziende italiane. Tuttavia, definire la cosiddetta “Innovazione Aperta” non è semplice e, per evitare di cadere nell’ambiguità, occorre analizzare il fenomeno da un punto di vista sia pratico che teorico. Sono molte le imprese, specialmente di grandi dimensioni, che hanno messo l’Open Innovation al centro delle loro scelte strategiche. L’adozione di questo paradigma può portare importanti vantaggi, ma dalla teoria alla pratica il passaggio non è semplice. Il mutamento dei processi economici dovuti principalmente alla globalizzazione ha costretto ad una riformulazione del concetto tradizionale di innovazione. Questo nuovo contesto economico, dove la convergenza delle tecnologie mercato ha reso il processo di innovazione maggiormente rischioso e i mercati integrati hanno abbassato la vita media dei prodotti, ha stimolato una revisione e un aggiornamento della nozione di innovazione. In questo articolo cercheremo di orientarci nel vortice della trasformazione digitale con gli spunti dell’Osservatorio Startup Intelligence, punto di riferimento nello studio dei processi legati al fenomeno dell’Open Innovation.

Che cosa si intende con Open Innovation

Prima di capire come sia possibile fare Open Innovation, occorre partire da una definizione. Partiamo dall’origine del termine, teorizzato per la prima volta nel 2003 dall’economista statunitense Henry Chesbrough, nel suo saggio “The era of Open Innovation”: L’Open Innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”. In altre parole, oggi le imprese devono affidarsi ad un modello di innovazione che non tenga conto solo delle idee e delle risorse interne, ma anche di strumenti e competenze provenienti dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, consulenti e aziende non concorrenti. Allo stesso modo le imprese non devono più solo ragionare in termine di sfruttamento interno delle idee, ma devono tenere in considerazione anche percorsi verso il mercato esterni ai propri confini o alternativi al proprio modello di business. La lista dei benefici dell’Open Innovation è più che lunga. I principali sono la riduzione dei rischi nei progetti di innovazione per l’adozione di soluzioni già avanzate, la riduzione dei costi di ricerca e sviluppo per il ricorso a soluzioni già sviluppate, l’adozione di nuovi trend tecnologici per una migliore interazione con l’ecosistema degli innovatori e l’identificazione di nuove opportunità di business per una più aperta visione. Per essere competitiva, un’impresa oggi non può più fare a meno dell’innovazione. Il digitale permea ogni settore e attività di business. E il confronto non è più solo con i competitor, ma anche con imprese non concorrenti e realtà dove la ricerca è un elemento chiave per il progresso. Per far fronte a questa realtà, anche le organizzazioni italiane hanno iniziato a mettere in pratica i dettami dell’Open Innovation delineati nel 2003 dalla definizione di Chesbrough. Nello specifico, le imprese hanno iniziato a collaborare sempre di più con enti e figure esterne come Università, Centri di Ricerca, Startup, imprese concorrenti o attori più tradizionali come Vendor ICT e Società di Consulenza. Il tutto con l’obiettivo non banale di implementare nuove tecnologie e opportunità di business, così da ridurre i rischi e i costi legati all’innovazione e condividerne i benefici.

La chiave per l’Open Innovation: collaborare con le start-up

Se è vero che Open Innovation vuol dire fare ricorso a risorse e competenze esterne per favorire il progresso tecnologico, il mondo delle startup rappresenta allora il volano ideale per mettere in pratica questo paradigma. Sono tante le imprese italiane interessate a collaborare con le startup come fonte alternativa per lo sviluppo di innovazione digitale. L’Innovazione aperta si concretizza così in diverse tipologie di collaborazione che possono variare per durata e valore strategico. Collaborare con una o più startup può portare a numerosi benefici economici e strategici per entrambe le parti, anche se non è sempre facile raggiungere la piena sinergia. L’Osservatorio Startup Intelligence, servendosi dei dati dell’ultima ricerca, ha realizzato diversi contenuti multimediali volti proprio ad approfondire il contributo delle startup nel processo di Innovazione Aperta delle imprese. Detto cosa si intende per Open Innovation, è bene chiedersi se le imprese italiane possiedano tutte quelle risorse utili a mettere in pratica il modello di Innovazione Aperta. Ad oggi più di due terzi delle grandi imprese italiane hanno già adottato approcci di Open Innovation, con modalità e livelli di consapevolezza diversi. Grazie a questo modello, tali aziende possono creare più valore ed essere più competitive sul mercato. Va detto però che sono soprattutto le imprese di grandi dimensioni a riconoscere il valore dell’Innovazione Aperta, mentre nelle realtà medio-piccole il modello stenta a decollare. Molte delle iniziative sono intraprese ancora senza una reale convinzione e senza un approccio sistematico. Non mancano, inoltre, difficoltà organizzative e culturali che limitano lo slancio della Open Innovation nel nostro Paese.

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