Il falso in bilancio si colloca nella sfera del diritto societario, che si occupa dello studio di tutte le tematiche afferenti alla vita societaria e al rapporto tra questa e i propri soci. Più nel dettaglio, il diritto societario legifera sulle regole che riguardano gestione e creazione di una società, ossia quegli enti caratterizzati dall’unione di una o più persone fisiche o giuridiche che si prefiggono un fine comune attraverso la cooperazione tra soci e la condivisione di un capitale di partenza. Il reato di falso in bilancio è molto importante proprio perché il bilancio è uno degli strumenti più importanti per un’impresa. All’interno del bilancio sono contenute tutte quelle informazioni di natura economica che riguardano l’azienda, reperibili sia per investitori e stakeholder, sia per i lavoratori e, in generale, la collettività. Comunicare dati scorretti falsando la situazione economica dell’azienda viene considerato un fatto molto grave.
Quando parliamo di bilancio d’esercizio facciamo riferimento a tutti quei documenti che un’impresa deve redigere periodicamente per accertare in modo chiaro, veritiero e corretto la propria situazione patrimoniale e finanziaria. Ogni impresa deve per trasparenza rendere noto il suo stato di salute finanziario al termine di ogni periodo amministrativo di riferimento, compilando:
Il falso in bilancio consiste quindi nella falsificazione delle comunicazioni sociali, manipolando le informazioni presenti all’interno dei documenti che compongono il bilancio d’esercizio. Secondo la legge italiana, compilare un bilancio con dati falsi costituisce una frode ed è quindi perseguibile.
Possiamo riassumere le principali tipologie di falso in bilancio in questi tre punti:
Inizialmente il falso in bilancio era rappresentato nel nostro codice civile solamente dall’articolo 2621 del codice civile, che denominava il reato come “false comunicazioni ed illegale ripartizione di utili” e lo sanzionava con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da 10 000 a 100 000 lire. Ad oggi la disciplina del falso in bilancio è regolata dagli articoli 2621 (“false comunicazioni sociali”), l’articolo 2621-bis (“fatti di lieve entità”), l’articolo 2621-ter (“non punibilità per particolare tenuità del fatto”) e l’articolo 2622 (“false comunicazioni sociali nelle società quotate”).
Uno dei casi più famosi di falso in bilancio è stato quello della Parmalat. Il “buco” mascherato dal falso in bilancio è stato stimato sui quattordici miliardi di euro: con l’accusa di bancarotta fraudolenta il patron della Parmalat Calisto Tanzi ha stato condannato a diciotto anni di reclusione. Con lui anche numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci sono stati condannati penalmente per il reato di falso in bilancio. A partire dal 1997, Parmalat ha effettuato 32 emissioni obbligazionarie per circa 7 miliardi di euro, per più dell’80% delle quali il collocamento è stato curato da importanti istituti di credito esteri, che contemporaneamente hanno elargito “generosi” finanziamenti al gruppo. La società di Collecchio ha proceduto ad una significativa alterazione dei libri contabili mediante l’iscrizione di attività finanziarie inesistenti e dalla falsificazione di documenti ad opera di taluni amministratori della società. La vicenda di frode contabile della Parmalat ha avuto come conseguenza, sul piano societario, l’azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti e gli obbligazionisti hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.
negli Stati Uniti, il caso Enron ha avuto come conseguenza un inasprimento dei controlli contabili che ha portato, nel breve termine, all’emersione di numerosi episodi di frode contabile. La vicenda di Worldcom, leader nel settore delle telecomunicazioni, nel luglio 2002 annuncia di aver messo in atto una serie di comportamenti fraudolenti e di trucchetti contabili. Nel febbraio 2002 la conglomerata Tyco, società specializzatasi in acquisizioni, finisce sotto inchiesta per l’utilizzo personale di riserve aziendali da parte degli amministratori.
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